giovedì 15 gennaio 2015

PICCOLI SPOSTAMENTI DEL CUORE


Iniziare, significa intraprendere un viaggio, partire. A mio avviso non c’è niente di meglio che iniziare questo nostro viaggio nel raccontare dischi, con un disco che racconti un uomo nella sua più intima accezione.
Quest’uomo è Giorgio Gaber, una delle figure che più mi ha “formato”. 


Il disco è “Piccoli spostamenti del cuore” -1987, Carosello records-.

Lo definirei una riflessione introspettiva, divisa in 9 brani che si muove tra la classica chiave cantautoriale, attraversata da qualche suono più corale della semplice chitarra nonché tendente al rock dell’epoca come in “Isteria amica mia”, 
brano che da voce alla rabbia nei confronti di quello che ci circonda, ma che si riflette sul proprio essere (“Sono vero o sono finto? Boh”).
Il brano di apertura, è “I soli” nel quale racconta la follia e la forza, ma anche la malinconia di chi riesce a contare solo su se stesso, ma a dare il nome al disco è la frase contenuta in “Attimi” pezzo che scandisce lo scorrere del tempo e come l’umo approccia ad esso.


Il fulcro di tutto a mio avviso, è però “L’uomo che sto seguendo”, che viaggia tra atmosfere tetre, alla ricerca di se stesso e di “un vero sentimento, per trovare il coraggio di ridare un’occhiata al mondo”, che quasi fa da seguito a “Cosa si prova” nella quale si interroga sulle emozioni.

In “E tu non ridere” troviamo una confessione di un innamoramento per una donna e le relative fantasie, ad un amico. La famiglia è raccontata, dal semplice ed intenso suono della chitarra da “L’impotenza”.

L’immancabile nota sociale Gaberiana, è richiamata da “La gente è di più”.

Chiude il tutto “Un alibi”, che accoglie l’arrivo della primavera e dell’amore, cercandovi una scusa per non affrontarlo. Un brano in cui mi ci rivedo particolarmente.

“Piccoli spostamenti del cuore” è una perla troppo poco conosciuta di questo grande artista che permette di guardarsi dentro, come si può intuire dalla copertina che lo ritrae intento a fumare una sigaretta. Tutto senza abbandonare la classica ironia che lo contraddistingueva.






-Gian-


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