lunedì 23 febbraio 2015

FENOMENOLOGIA DE "IL VOLO"



Nella presentazione del nostro blog abbiamo scritto che avremmo parlato solo della musica che ci piace ma non possiamo non spendere due parole per i vincitori del Festival di Sanremo 2015.
Confesso di avere una dipendenza da Festival; la settimana della gara divento una macchina da guerra e nulla mi sfugge di quel che succede su quel palco ma quando ho ascoltato i nomi dei partecipanti il mio cervello si è riempito di un unico ed enorme punto interrogativo: “CHI E’ IL VOLO?”
A quanto pare Il Volo non è una sola persona bensì 3, un po’ come la Trinità, uno e trino. Che sia questo il motivo per il quale molti li osannano come fossero divinità? Che poi… molti chi? Io sono ancora curiosa di capire quale sia il loro target di ascoltatori. Hanno vinto Sanremo quindi qualcuno avrà pur votato questi  tre simpatici (?) ragazzi.
Ma ritornando alla loro identità, cercando su internet (leggesi wikipedia) ho scoperto che il gruppo è formato da due tenori e un baritono con età media di 22 anni. Si sono fatti conoscere partecipando, diversi acne..pardon…anni fa, ad un talent musicale per bambini su RAI1.
Mentre l’Italia continuava ignara a farsi del male ascoltando Modà e parenti affini, i nostri tre giovani eroi volavano alla conquista dell’America dove tra una  “O’ sole mio” e una  “Caruso” regalavano agli italo-americani l’illusione di “tornare a Surriento”.
Ma veniamo ai giorni nostri. Nel 2015, inspiegabilmente,  i nostri eroi decidono di ritornare in patria e con tattiche ninja e una canzone da soap opera argentina incantano il pubblico italiano conquistando la vittoria all’Ariston.
Ora, raccontato così, è tutto molto romantico ma l’incanto si spezza appena prendo il loro EP tra le mie mani (scherzo, non l’ho comprato, ho usato spotify). Sei cover, o reinterpretazioni, e il singolo galeotto vincitore del Festival: Grande amore.
Premetto che non sono un’esperta di musica lirica ma qui di lirico io ci vedo ben poco. Il disco mi sembra un piccolo calderone in cui sono mischiati pop, simil lirico e un po’ di Napoli che per i nostalgici non guasta mai.
Una sola domanda mi sorge spontanea: “avevamo davvero bisogno di questo progetto musicale?”

Forse si, o forse no… ai posteri l’ardua sentenza!

-Nia-

lunedì 16 febbraio 2015

UN GIORNO DI SOLE-STRAORDINARIO

C’era sicuramente una grande aspettativa dietro questo nuovo album di Chiara. Dopo il buon successo di un Posto nel mondo la cantante ha sentito il bisogno di fermarsi un attimo e ritrovarsi (come lei stessa ha ammesso in varie interviste). Sicuramente non deve essere stato facile ritrovarsi, a pochi mesi dalla vittoria ad XF, nel calderone musicale del Festival di Sanremo 2013, con una casa discografica che, volendo cavalcare l’onda del successo, premeva affinchè in contemporanea con Sanremo uscisse anche il primo disco di inediti di Chiara (che abbiamo recensito e che potete trovare qui sul nostro blog). Un primo disco che non la rappresentava del tutto. Ed ora, a distanza di due anni (anche se in realtà questa è la riedition de ‘Un giorno di sole’ uscito a Ottobre 2014)la ritroviamo in una veste più matura e sicura. Dopo la brillante esperienza di questo 65° Festival di Sanremo possiamo confermarlo: Chiara è cresciuta. E non solo di altezza (come spesso scherzava Carlo Conti per via dei tacchi vertiginosi su cui camminava Chiara) ma anche artisticamente. In questo disco la prima cosa che salta all’orecchio è la modernità degli arrangiamenti, che si rifanno molto a quelli d’oltreoceano. Questi sono, oltre che molto curati (fin nei minimi dettagli), anche molto piacevoli e immediati, tanto che alcuni rimangono impressi fin da subito. Troviamo una Chiara che collabora agli arrangiamenti (per esempio scrivendo la musica di ‘Siamo adesso’) e autrice (‘L’uomo senza cuore’), una voce più potente e sicura, carica di quelle sfumature a cui ci ha da sempre abituati. La giusta evoluzione di ‘Un posto nel mondo’ direte voi? Per certi aspetti si. Per altri invece no. Se da un lato infatti abbiamo degli arrangiamenti certamente più radiofonici e ‘pop’, dall’altra a risentirne in alcuni casi sono i testi. Mancano sicuramente quei testi più profondi anche se meno immediati che caratterizzavano il primo album, non che gli autori di questo album (Ermal Meta, Dario Faini, Virginio Simonelli, Pacifico) siano da meno rispetto al primo,anzi. Nonostante questo però il disco personalmente l’ho trovato più piacevole da ascoltare oltre che scorrevole. Diciamo che forse la strada giusta per Chiara sia una via di mezzo: dei testi più strutturati su degli arrangiamenti moderni e molto radiofonici. Una nota molto positiva è che  in questo nuovo album Chiara dà prova di sapersi districare perfettamente tra tutti i generi, mantenendo sempre la sua identità artistica: dai ritmi da ballad de ‘Straordinario’, ‘Il rimedio, la vita e la cura’ e ‘Amore infinito’ si passa per il folk di ‘Nomade’ e ‘Ruba l’amore’ fino ai suoni più movimentati di ‘Un giorno di sole’, ‘Che valore dai’ e ‘La vita è da vivere’, toccando anche atmosfere più acustiche con ‘Qualcosa resta sempre’ e ‘Titanium’. Insomma un album che si fa ascoltare e anche con molto piacere, anche se mi piace sperare che questo sia l’ennesimo passo avanti per ascoltare una Chiara ancora più matura che possa cantare pezzi ben più profondi magari su ritmi alla Florence (a cui non smetterò mai di accostarla, non perché vorrei che ne fosse una copia, ma perché magari ispirandosi a lei possa portare un bel po’ di freschezza e innovazione nel ben poco originale panorama musicale italiano).

VOTO: 7.5

Di seguito il giudizio delle canzoni una ad una:


STRAORDINARIO: fin dalle prime note di questa canzone si può notare il gradevolissimo ritorno alle musiche di ‘Due respiri’ nonostante poi l’arrangiamento si sviluppi a partire dal primo inciso, dove quell’ “esplode l’universo” è scandito dai battiti forti di un tamburo. Una gran bella ballad, in cui Chiara si sente sicuramente a suo agio. Un testo un po’ troppo melenso forse ma sicuramente ben costruito e positivo soprattutto (che non guasta mai). La voce di Chiara è bella più che mai, messa in risalto soprattutto nei vari ritornelli (che ti restano in testa e non li levi più neanche a volerlo). Parla di due persone che sia amano, delle insicurezze ma soprattutto del sentimento forte e sincero che le lega. Emozionante.
UN GIORNO DI SOLE: ritmi più movimentati rispetto alla ballad precedente, che si contrappongono al testo. Se da un lato infatti abbiamo un arrangiamento ballabile e ottimista, il testo ha come tema la fine di una storia d’amore. Nonostante quell’iniziale ‘sveglia tutti quanti, chiama la polizia’ (io avrei fatto di tutto per iniziare con un’altra strofa), la canzone prende piede man mano. Certo, una base del genere avrebbe meritato un testo più articolato, ma comunque è un brano piacevolissimo che ti cattura sempre più ad ogni ascolto.
IL RIMEDIO, LA VITA E LA CURA: forse la ballad più profonda dell’intero disco. Un testo sicuramente ben costruito, con delle bellissime immagini (‘crolli pure la casa di gesso, non resti neanche il muro, ho soltanto da offrirti me stessa, sarò un posto sicuro’) accompagnato da un tessuto musicale articolato eppure semplice, con una pioggia di archi che va e viene. La voce di Chiara a tratti commuove ed emoziona, una gran bella prova da interprete. Non ce l’avrei vista male sul palco dell’Ariston.
L’UOMO SENZA CUORE: prima prova da autrice per Chiara. È sua infatti questa ‘L’uomo senza cuore’, e devo dire che non se la cava affatto male. Aiutata sicuramente da un arrangiamento coinvolgente, la canzone esplode nel ritornello e anche il bridge è molto orecchiabile. Una bella prova, superata più che con la sufficienza, sperando che in un prossimo disco Chiara possa approfondire questo talento nella scrittura magari anche solo collaborando alla scrittura con qualche autore.
AMORE INFINITO: torniamo al ritmo da ballad ed è un ritorno in gran stile. Qui la voce di Chiara si fa sofferente, intensa e molto emozionante. Il testo è pieno di immagini che si riflettono nei pensieri dell’ascoltatore e che rendono il pezzo uno dei più intensi di tutto il disco (‘e questa notte scivola, in fondo a un temporale, che scoppia tra gli applausi e un bacio ad occhi chiusi’), il tutto condito da un vestito musicale dominato dagli archi.
LA VITA E’ DA VIVERE: una delle canzoni più belle del disco in cui il messaggio di ottimismo è forte e reso evidente dalla bellissima voce di Chiara (e si, bisogna ribadirlo ogni tanto, lo merita). Parla della maturità di ognuno di noi, e nella vita e nell’amore, maturità raggiunta soprattutto insieme alla persona che si ama (‘l’amore è un po’ di noi che se ne va, ma un passo più vicino alla felicità, ci siamo detti tutto io e te, ma la vita è da vivere). Anche in questo caso, l’arrangiamento costellato da vari cori è molto coinvolgente e piacevole.
QUALCOSA RESTA SEMPRE: uno dei brani con arrangiamento che definirei semiacustico (proprio perché meno strutturato rispetto ad altri pezzi del disco), il cui arrangiamento rimanda un po’ ad ‘Artigli’ del primo disco. Il testo è del giovane e talentuoso Virginio Simonelli. Un brano d’amore toccante, che parla della difficoltà di superare un momento non facile come ad esempio la separazione tra due persone: ‘e dove sembra non ci sia niente, qualcosa resta sempre’.
IL VOLTO DELLA VITA: è il momento della cover di Caterina Caselli portata la sera delle cover all’ultimo Festival di Sanremo. Una canzone sicuramente arricchita da un arrangiamento quasi da far west (quando lo ascolto rivedo nella mia testa alcuni spezzoni di Django). La parte finale è proprio la ciliegina sulla torta di tutto il brano. La voce di Chiara esplode in tutta la sua bellezza. Fenomenale.
NOMADE: uno dei due brani folk che danno ulteriore ritmo all’album. Un pezzo sicuramente estivo tanto che mi immagino ad ascoltarlo in una decappottabile sugli stradoni lungo le coste italiane. Orecchiabilissima, credo che i primi giorni non smettessi più di canticchiarla. Il battito di mani nel bridge danno quel tocco di folk in più che non guasta.
IL MEGLIO CHE PUOI DARE: in questo via vai di ritmi (si passa da ballad ad arrangiamenti più movimentanti e folk con grande semplicità mantenendo comunque un’uniformità di fondo che rende ghiottissimo l’ascolto del disco) ritroviamo un pezzo molto romantico, anche se qui Chiara sembra rivolgersi direttamente più che mai all’ascoltatore (‘mi hanno detto che la vita è ciò che accade mentre tu, più del viaggio vuoi la meta e non ti accorgi che hai di più, quando arriva una salita è per non cadere giù, non si vince nè si perde, conta il meglio che puoi dare’), come un’amica che sa sempre consigliarti cosa fare.
SIAMO ADESSO: uno degli arrangiamenti più belli (a cui ha collaborato anche Chiara stessa),il testo è di Pacifico (una garanzia). La canzone parla di guardare al presente anche se non sappiamo cosa sarà dopo, come in un lungo viaggio (magari in compagnia di chi amiamo, sia esso presente o parte del passato), facendo tesoro delle esperienze passate.
CHE VALORE DAI: uno dei pezzi che preferisco di tutto il disco. Il brano parla (come suggerisce il titolo) al valore che diamo alle cose che ci circondano, e di quanto in genere trascuriamo le cose più semplici: ‘quanto pesa un gesto, un abbraccio perfetto, un incontro imprevisto sotto un temporale, tu lasciati guardare mentre vai, quest’addio non pesa se ritornerai’. Infatti la canzone è una sorta di lista di cose ad ognuna delle quali ci viene chiesto il valore che diamo. L’arrangiamento quasi elettronico non può passare inosservato (così come molti altri del cd).
RUBA L’AMORE: l’altro pezzo folk del disco che esprime in tutta la sua positività la spensieratezza di Chiara, la voglia di vivere e di ridere. Allegra (nel testo e nel ritmo) ma non mi ha colpito particolarmente.
IL SENSO DI NOI: da quando dichiarato da Chiara, il primo vero pezzo realizzato per questo disco. Parla infatti del superamento di una fase difficile in cui ci si chiede quale senso abbiamo noi ma soprattutto si cerca coraggio e ottimismo per andare avanti nel migliore dei modi. Questa canzone è un po’ il manifesto di quello che secondo me vorrebbe fare Chiara in ogni suo disco: trasmetterci emozioni, soprattutto ottimismo, in modo da lasciarci alla fine dell’ascolto con il sorriso sulle labbra.
TITANIUM: il disco si conclude con la cover realizzata nel tour precedente che ha conquistato chiunque l’abbia ascoltata. La sua voce si adagia perfettamente sull'arrangiamento semplice di questa versione, abbandonando i ritmi dance e i bassi della versione originale, come a dimostrare che Chiara può cantare di tutto ma soprattutto dargli un’interpretazione e un senso unici e
nel suo perfetto e ormai inconfondibile stile.
                                                                                                                                            -Cos-

domenica 15 febbraio 2015

SPLENDE

Il giorno dopo la serata finale di Sanremo è sempre un grande melting pot di commenti, giudizi, opinioni un po’ ovunque nel web. C’è chi ha il proprio favorito, chi il cantante che proprio non si sopporta, c’è chi ci sorprende , c’è chi invece ci ha deluso. Un festival come questo , con 20 cantanti, è un bel contenitore musicale, per chi come molti adora questo ambito. Questa introduzione serve per spiegare un po’ la prospettiva che mi porta a questo album, Splende. Splende è il quarto album di una cantante che seguo dagli inizi, dal 2010, quando la sua voce ha iniziato a essere conosciuta.
“Splende” rappresenta a pieno la maturazione che sta vivendo Annalisa. Questo album come in molti sanno è stato prodotto da Francesco Silvestre, il cosiddetto “Kekko” dei Modà. Sono io la prima a non essere una sua fan, né di lui come autore né del suo gruppo. Ero anche io stessa la prima ad essere scettica e mi domandavo: “Ma una come Annalisa con uno come Kekko che album potrà mai sfornare?”. Bene , a questa domanda ho trovato il 12 febbraio una risposta molto esaustiva.
Delle 11 tracce di questo album, due portano la firma di Silvestre: il primo è “Sento solo il presente”, il singolo che ha anticipato tutto l’album (insieme a “l’ultimo addio” , secondo singolo prima del percorso sanremese); il secondo è “una finestra tra le stelle”, il pezzo che Annalisa ha portato a Sanremo.


Sento solo il presente  è uno di quei pezzi che veste perfettamente l’estensione vocale di Annalisa, però è anche uno di quei pezzi che se fosse scritto in inglese o in tedesco o in qualsiasi altra lingua renderebbero decisamente di più. Silvestre è un bravo compositore, scrive certe musiche perfette per rendere il cosiddetto effetto climax, ma come autore a parte rare eccezioni proprio non riesco a comprenderlo. Un pezzo come questo potrebbe essere una bomba atomica, che si ascolta fino all’esaurimento per quanto ci piace. Però, se ci concentriamo sulle parole capiamo che musica ( +voce) e testo sono due linee parallele. Nonostante questo , il marchio di Silvestre si riconosce anche in positivo. Per le oltre 15 mila copie vendute, il pezzo è certificato d’oro. Voto: 6+.

L’ultimo addio: dopo sento solo il presente, avevo molte aspettative sul secondo singolo che avrebbe anticipato l’album anche perché si Kekko scrive pezzi che rimangono in testa, ma per una cantante come Annalisa questo non basta, bisogna puntare nettamente più in alto, perché certi talenti come il suo vanno sfruttati a pieno, non così. Sentendo questo brano sembra di entrare in un mondo diverso dal pezzo precedente, perché si sente un livello totalmente diverso. Qui oltre alla musica , incentrata su piano e archi inizialmente, con un’energia e carica che aumenta gradualmente, il testo è finalmente degno di essere cantato da un personaggio musicale come Annalisa. Chi ha scritto questo pezzo? Annalisa. Esatto, perché oltre a essere un’interprete eccezionale, la nostra Scarrone scrive anche molto bene, e L’ultimo addio ne è la dimostrazione, un pezzo pieno di immagini che rimangono impresse e con una linea melodica che esalta sia i suoi bassi , che i suoi falsetti ed acuti, che rimangono delle sfumature mai sentite. Voto: 7 ½ (avrei dato 7, ma il mezzo voto lo aggiungo per la scelta dell’uscita del pezzo, come secondo singolo di anticipo).

Vincerò: “Cambierò, sceglierò uno spazio per me, dove posso urlare e vincere.” è solo una delle frase che racconta in questo pezzo la voglia di scegliere, di prendere decisioni, un vero e proprio inno al non farsi dominare dalla paura di sbagliare. In questo pezzo è anche raccontato in modo velato il suo amore per la Liguria, la sua terra. Questo è uno dei 9 pezzi che porta la sua firma, e si sente. L’impronta di questo pezzo è decisamente pop estera, una composizione musicale degna di nota. Sicuramente uno dei pezzi che rimane più in testa, oltre ad avere un significato nobile e non così banale. Voto: 7.

Un bacio prima di morire: quando ascolto questo pezzo le immagini che mi compaiono in testa sono davvero tante, anche perché è uno di quei brani in cui è inevitabile pensare a dei propri ricordi. Merita assolutamente di essere ascoltato più volte. Personalmente credo sia una delle tracce più colme di livelli interpretativi, ma nonostante questo è stata una di quelle che mi ha colpito meno a livello strumentale. A primo ascolto questo. Ora decisamente è una delle mie preferite.  Voto: 8-

Una finestra tra le stelle: pezzo Sanremese in pieno stile melodico orchestrale e vocale. Qui ricadiamo nel tranello Sento solo il presente. Se avesse avuto delle modifiche in qualche frase, lo avrei definito come il brano perfetto per Annalisa. Vocalmente perfetto, musicalmente coinvolgente, Testo pausa. Si pausa, perché se lo si legge separatamente le aspettative per un pezzo come questo crollano un po’. Quando si sente il complessivo il testo passa decisamente in secondo piano, perché il valore per esempio di “solo se mi baci te” acquista il livello di frase perfetta, nonostante separatamente sia una frase piuttosto non di alto livello.  Nonostante qualche perplessità su dei passaggi, è un brano che coinvolge e come mostra Itunes e i passaggi radio, piace parecchio. Complimenti comunque a Kekko per aver valorizzato la sua voce cosi bene, perché la pienezza a livello di composizione non fa mai si che la voce passi in secondo piano. Voto: 7 ½  (10 per la voce ovviamente).

Splende: un pezzo con un inizio che permette decisamente al brano di avere un'identità tutta sua. Ciò che noto nei pezzi scritti da Annalisa è che lei tende ad avere una metrica ben decisa, con delle frasi che non sono particolarmente lunghe, in modo tale da avere dei bei passaggi vocali. “Lasciami nel dubbio che sia la felicità questo niente” rappresenta un po’ un testo che parla della fugacità di ciò che avviene. Lo ricollego molto a vincerò, con un’accento però decisamente più malinconico. Non a caso la canzone è stata scritta in un momento difficile per Annalisa, con sentimenti contrastanti che caratterizzano anche “Splende”.  Voto: 7.

Se potessi: questa canzone ve lo premetto già è la mia preferita dell’album per una serie di motivazioni che vi elencherò tra poco. Si, pianoforte e voce è decisamente un’accoppiata vincente, ma la chitarra acustica e gli archi di questo pezzo rendono decisamente un’atmosfera degna di nota. Giulia Anania fa parte della “penna” di questo testo, assieme a Raphael, leader degli Eazy Skankers, che ha “donato” la sua voce per il bridge e parte del ritornello finale. Devo dire che le loro sono due voci che stanno molto bene insieme, si intrecciano benissimo e mi sembra di ascoltare un pezzo in perfetto stile internazionale. Altro che “il volo “ ragazzi. Voto: 8+

Questo Amore: il fulcro di questo pezzo è per me nel ritornello, ci sono davvero dei passaggi che rimangono come fotografie nella testa: “ Ora c’è la tua voce a riaccendere tutto, a pulire macerie di un cuore distrutto, ora c’è la tua luce a salvarmi a far rinascere questo amore.”. La mia mente si catapulta a una versione acustica della canzone. Che bomba eh? Voto: 8.

Niente tranne noi: è un pezzo che mi da la sensazione molto di un pezzo della Grandi ai tempi di “Lasciala Andare”. Sicuramente molto radiofonico, uno dei più potenzialmente radiofonicamente popolari. Voto: 7-.

Posizione fetale: è uno dei pezzi più amati da chiunque ha acquistato l’album, o solo da chi ha ascoltato le anteprime. Questo pezzo si trova molto sul piano di “La Prima volta” di Non so ballare, album precedente di Annalisa. Solo che qui viene mostrata una consapevolezza dell’autrice (si perché Annalisa va definita soprattutto come tale visto la sua capacità di descrivere e spiegare nelle canzoni ciò che vive). Spero che in una versione dal vivo venga mantenuta interamente la linea melodica. Anche questo un pezzo assolutamente sanremese, perché arriva ed è una canzone davvero piena di valore. “avere un posto in cui tornare, abbracciare il mondo” descrive la bellezza del ritornello di questo brano. Voto: 8.

Ti sento (cover Matia Bazar): Partendo dal presupposto che è stato fatto un arrangiamento che rispettasse sia la versione dell’85 di Antonella Ruggero, sia che non risultasse una delle tante copie che è stata fatto di questo “cavallo di battaglia” della musica italiana. Tanto per dire, secondo me questo pezzo era legato davvero alla nostra Annalisa, nata nella stessa annata. Che sia un segno? Forse si, visto che è stata una delle poche, se non l’unica, che ha unito tutti i giurati dei vari giornali, della sala stampa e company (incluso il pubblico presente che da casa) sotto uno stesso commento: WOW. Ovviamente questa interpretazione e versione non può se non meritare il massimo. Chissà che magari questo sia davvero lo stile che avrà Annalisa in un suo futuro ? Voto: 10.


Mi sono dilungata parecchio su questa recensione, convinta del fatto che certi artisti vadano scrutati a fondo. Annalisa è una delle vere e proprie perle che va custodita e fatta crescere, sperimentando diverse strade. L’annalisa di “Non so ballare” non è quella di “Nali (EP)”, né è quella di Amici , né è quella di “Mentre tutto cambia”, né è quella di “splende”. Questo mostra però quanti cambiamenti e strade sta percorrendo la cantautrice savonese , tenendo sempre il meglio di ogni tappa vissuta. E risultati si vedono davvero, anzi si SENTONO!
                                                                               -Reb-

sabato 14 febbraio 2015

QUI PER TE


È appena terminata la finale dei giovani di Sanremo e così per curiosità mi metto ad ascoltare il disco del vincitore, Giovanni Caccamo. La canzone mi aveva convinto fin dal primo ascolto, soprattutto l’arrangiamento molto curato mi aveva colpito. La voce poi molto curiosa, delicata, a tratti flebile altri più decisa. Insomma, vi scrivo di seguito le mie impressioni al primo ascolto di questo lavoro.
QUI PER TE: la prima canzone è una specie di intro, infatti dura meno di due minuti. A primo ascolto mi ricorda a tratti Franco Battiato(artista a cui si ispira e con cui duetta nell’ultimo brano del disco), sia nella voce che nello stile. È una sorta di biglietto da visita, in cui ci fa capire che non siamo di fronte ad un banale cantante pop ma forse a qualcosa di più.
OLTRE L’ESTASI: dalle atmosfere rarefatte della intro, passiamo a ritmi più elettronici e coinvolgenti. ‘ Forse amarsi è colpa mia, scappo da ogni ipocrisia’canta. Un pezzo moderno e non banale che rimane in testa molto facilmente. Sicuro singolo estivo.
IL MONDO NON MI BASTA: anche qui troviamo ritmi elettronici mischiati a ritmi più classici. L’impressione che mi viene ascoltandolo è che si possa essere cantanti comunque sofisticati e non banali anche con arrangiamenti moderni. Molto bello l’inciso ‘Guarderò l’immenso, scoprirò il bisogno che mi riporti a non pensare sempre che, che il mondo non mi basta’. Mi piace che finisce, lasciandoti così, in attesa di qualcosa.
RITORNERO’ DA TE: è la volta del pezzo sanremese nell’arrangiamento però non sanremese, e personalmente lo preferisco. Mentre quello sanremese (la cui versione chiude l’album) è un arrangiamento studiato più per l’orchestra e quindi ricco di archi e arzigogoli volti a riempire le orecchie del pubblico sanremese, questa versione più nuda si mantiene sugli stessi ritmi dell’album e mette in maggior risalto le parole del brano, rivestendolo di una semplicità che permettono di apprezzarlo di più. ‘Parlami di te come non fossi stato mai lontano, e tornerò da te con questo cielo in mano’. Leggera e coinvolgente.
NEL FANGO: una delle canzoni più riflessive e probabilmente autobiografiche del disco. Parla del sentirsi vinti e del senso di impotenza che spesso ci attanaglia e ci impedisce di andare avanti. Un po’ pessimista ma sincera.
DISTANTE DAL TEMPO: torniamo a ritmi più movimentanti. Ritmi che mi hanno riportato all’ultimo Jovanotti, quasi  a ‘la notte dei desideri’; anche questo un pezzo sicuramente autobiografico, che parla dell’essere imperfetti, quasi una riflessione personale del giovane cantautore sul suo essere e sulle possibilità di migliorarsi, il tutto in relazione alla persona che si ama e al tempo, che passa, segna e insegna. Molto orecchiabile.
PIOVE: una delle tantissime canzoni che nella storia della musica italiana ha questo titolo. Sarà che la pioggia affascina, ispira, troviamo moltissime canzoni con questo titolo. Ma il bello è che ognuna è diversa, quasi a mostrare come la pioggia possa ispirare a chiunque cose diverse. Abbandoniamo i ritmi elettronici per rimanere solo con piano e voce di Giovanni (e un leggerissimo suono di archi), in una dimensione intimistica e malinconica, un dialogo tra lui e il destinatario della canzone, e l’ascoltatore che osserva e ascolta silenzioso. ‘Tenere gli occhi spenti per paura di guardare il sole, sentire luci accese dentro il buio e non vedere te, svegliarsi nella notte per paura di morire, vederti respirare nel silenzio mentre adesso fuori piove, domani parlerò ma adesso lasciami sognare’. Delicata.
FUORI DA QUI: si reintroducono in maniera non invasiva i ritmi elettronici. Vagamente mi ha ricordato Elisa all’inizio. È evidente il contrasto tra il suo mondo interiore, quello delle emozioni, e quello esterno, che lo rappresentano (da questo il titolo della canzone). ‘E il mondo che gira e magari mi sto perdendo fuori da qui’.
MEZZA VERITA’: altra canzone breve insieme alla intro dell’album. Breve ma intensa, è come se in quei pochi minuti il cantautore volesse dire queste parole in maniera chiara e breve. E ci riesce, lasciando l’ascoltatore sull’uscio della canzone vedendolo allontanarsi per poi tornare (come lui stesso canta).
MARE MARE: ritmi e parole più ironiche. Inciso che resta subito in testa, è forse il pezzo più leggero dell’album. ‘mare mare mare, se mi ami puoi restare, tutto il resto che mi serve per travolgerti la mente’.
SATELLITI NELL’ARIA: il duetto con Franco Battiato è la ciliegina sulla torta di tutto l’album. Le due voci si incastrano perfettamente, anche perché in alcuni punti sono simili. Parla di una nuova possibilità, dell’allontanarsi da momenti meno felici verso nuovi orizzonti, della ricerca di un’identità. Introspettiva.

Nel complesso, una buonissima prima prova, lontanissima dalla banalità, per un giovane cantautore italiano. Ottimi arrangiamenti, testi molto buoni, ascoltare questo disco è stato come scoprire canzone dopo canzone, una giovane e valida promessa della musica italiana. Da ascoltare più volte per poterne apprezzare appieno le sfumature.

                                                                                                                            -Cos-
VOTO: 7.5

giovedì 12 febbraio 2015

NAIF

Si intitola “Naif” il quarto album di Malika Ayane che contiene 11 tracce prodotte tra Milano, Parigi e Berlino.
Come lei stessa ha affermato, questo cd racconta attimi del suo presente, dieci tracce scritte tutte da Malika stessa con al suo fianco l’immancabile Pacifico ed una cover di Vasco. Arrangiamenti moderni e coinvolgenti. Un album dalle mille sfumature, che ci mostra una versione spensierata di Malika, spensierata ma sempre raffinata, perché non bisogna dimenticare che il secondo nome della Ayane è “classe”!
In questa recensione scritta a quattro mani, tanto siamo soci e la pensiamo uguale (piu o meno :P), ve lo raccontiamo traccia per traccia.

1. Lentissimo

2. Senza fare sul serio

3. Tempesta
4. Blu
5. Ansia di felicità (Sonntag living)
6. Cose che ho capito di me (?)

7. Adesso e qui (nostalgico presente)

8. Dimentica domani

9. Non detto

10. Chiedimi se
11. Vivere


La canzone con cui dà il benvenuto all’ascoltatore ha delle atmosfere molto accomodanti. In ‘Lentissimo’ sembra quasi tornare allo stile di ‘Malika Ayane’, il disco d’esordio, e, come per voler mettere a proprio agio chi la ascolta, dice ‘l’attimo che conta è quello che promette di sognare ora’. Per cui accomodatevi e gustatevi l’album. La parola che dà il titolo alla canzone passa quasi inosservata: infatti la troviamo al secondo verso ‘sembra il tempo scorra lentissimo’, in pieno stile Malika.
E sempre di tempo si parla nella seconda traccia, più movimentata, senza perdere quell’eleganza che da sempre contraddistingue la voce e lo stile di questa grande cantautrice. Infatti in ‘Senza fare sul serio’ canta ‘lento può passare il tempo ma se perdi tempo, poi ti scappa il tempo’ in un ritmo che ti entra nella testa e non esce più. In ‘Tempesta’ notiamo ancora la grande cura di questi arrangiamenti, sicuramente dai sapori più internazionali. Il battito di mani che accompagna il ritmo ricorda ‘Tre cose’ del precedente album. Il filo conduttore dell’album, almeno fino a qui, sembra essere il tempo: qui si parla di libertà (la libertà è un concetto semplice se non ne sai il significato) e dell’importanza di vivere ogni singolo momento, per quanto esso possa durare, purchè sia tempesta, intesa nel concetto di vivere appieno tutto. Parte ‘Blu’ e ci ritroviamo a ballare e fare il trenino su una spiaggia tropicale, un inno alla leggerezza con un ritornello che entra in testa e non esce blu, ah no scusate, più.
In ‘Ansia da felicità’ canta contro l’insoddisfazione personale e quindi  l’ansia di ricercare la felicità, quando in realtà basterebbe trovarla nelle piccole cose che ci circondano: ‘chissà che non torni la voglia di perdersi, rubiamo il vento da New York e di Berlino un cinema’.
Arriviamo così ad uno dei gioielli di questo album, ‘Cose che ho capito di me (?)’: anche qui si avvertono le atmosfere della prima Malika, quella che sembra cantare in una lista di cose il nostro vero essere imperfetti, spogliandoci e (spogliandosi).
 È la volta della bellissima ‘Adesso e qui (nostalgico presente)’,brano presentato in gara a Sanremo, che parte in maniera intimistica col suono di un carillon e cresce man mano fino ad esplodere con i cori alla fine. Quel ‘se lo vuoi, rimani’ iniziale è la chiave di tutta la canzone. Si parla di due persone che si amano e che dopo tanto vissuto, dopo essersi conosciuti e mostrati all’altro completamente, devono decidere se continuare. ‘Lasciarsi le mani non è quello che ci spetta’, separarsi non deve essere il futuro di questi due amanti, le loro mani non devono staccarsi ma devono essere strette per proseguire insieme. E di nuovo il tempo, in questo ‘Nostalgico presente’ che istante per istante è la porta d’ingresso verso questo domani insieme. ‘Adesso e qui’ non è solo poesia, è eleganza, profondità, raffinatezza.

La traccia successiva, ‘Dimentica domani’ è una dichiarazione d’amore passionale, la supplica di vivere questo momento insieme alla persona che ti ama e che sta davanti a te. Ma conclude mettendo in dubbio la possibilità che possa avvenire tutto ciò.
‘Non detto’ altra perla di questo album, c’è invece una dichiarazione d’amore più dolce, più spensierata, che  pronuncia le parole più importanti nel ritornello in inglese ‘I love you more, than words can say’, un amore grande che per dichiararlo le parole non bastano. Un brano che sicuramente riascolterete all’infinito.
 ‘Chiedimi se’ che definirei una canzone da ‘titoli di coda’, infatti ha le parole e l’arrangiamento giusti per chiudere il disco, come un bel film che anziché chiudersi con i nomi di tutti coloro che vi hanno preso parte, si chiude con tutte le richieste che la cantante vorrebbe sentirsi fare dal proprio amato.
Il disco si conclude con una bellissima versione di Vivere, cover di Vasco Rossi, dove Malika sfoggia tutta la sua classe.
Nel complesso un ottimo lavoro ed una Malika diversa ad ogni suo album e mai banale.
Si conferma una grande interprete e cantautrice ma soprattutto una delle più originali Artiste (da notare la A maiuscola) del panorama musicale italiano, pregno di musica pop. Per questo ogni suo album va apprezzato e gustato come un gioiello di raffinatezza ed eleganza rare.
Voto: 8.5
                                                                                    Cos-Etta

giovedì 5 febbraio 2015

Il BELLO D’ESSER BRUTTI

La psicanalisi di J-Ax. Ecco come si potrebbe definire il nuovo disco del rapper milanese, ma sarebbe troppo riduttivo per un disco così intimista, che ci parla della rinascita dello zio.
Il suo emblema, infatti, è “Intro” che a differenza di quanto faccia presagire il titolo è una canzone vera e propria e che è stata scritta per ultima ma apre il disco. Il benvenuto a quelli come lui lo da attraverso un video nella Milano notturna, che fa da sfondo ad una confessione vera e propria spinta da un intensissimo flow. “Ricominciare da meno di zero e finalmente sollevare il velo, e raccontarmi veramente, non l’immagine vincente che la gente prova a vendere di se. Non voglio vivere su un grattacielo, solo sputare indietro un po’ il veleno e raccontarmi veramente, lo spettacolo riprende, benvenuti a tutti quelli come me”.

Lo spettacolo riprende articolandosi in 20 brani con lo stile che da sempre contraddistingue lo zio, tra rime crude, simpatiche e intelligenti; con il vario sottofondo musicale che parte dal rap ma che abbraccia punk, rock, reggae e soul (che rappresenta tutto ciò che è “da strada”) senza abbandonare le sfumature pop (vivissime nella radiofonica “La Tangenziale”).

Tutto è impreziosito dalle numerose collaborazioni, che danno vita a brani giocosi. Da Neffa (“Caramelle”) ad Il Cile (nel reggae latineggiante di “Maria Salvador”) passando per la simpatica “Uno di quei giorni” in con Nina Zilli, che regala un sorriso anche grazie al videoclip American vintage, che ad un fan di “Bewitched - vita da strega” come me, non può passare inosservato. Ovviamente non mancano i duetti con i compagni di scuderia nella nuova realtà discografica NewTopia come Emiliano Valverde (in “Tutto o niente”), il fratello Weedo (col quale si lancia in una giocosa “The pub song”, esaltazione della vita estrema tra alcol e droghe, cantata come se fossero ubriachi) e Fedez (nella moderna “Bimbiminkia4life” dove è evidente la mano dub del giudice di X-factor), ma anche i Club Dogo (nell’ego trippin’ di “OldSkull”) e il suo pupillo a “The voice” Valerio Jovine, ex voce dei 99 Posse con cui parla di ricordi in “Un altro viaggio”.
Ed in un certo senso è proprio The voice che fa risuonare la ritrovata popolarità con “Sono di moda”, che fa da contraltare a “Sopra la media” che fa rivivere la periferia in cui è cresciuto.

In questo album Ax si dimostra un bravo cuoco mescolando temi e generi in maniera totalmente naturale e godibile, il cui emblema è “Rock city” dove c’è un bel gioco di ritmi e stili. La realistica “Hai rotto il catso” è  un dito medio alla Merkel e la situazione politica Europea dove la Germania la fa da padrona, mentre decisamente surreale “Santoro e peyote” (che presenta un groove pazzesco). Senza dimenticare il proprio io (Sono un “Ribelle e basta” …e così ci morirò) che può essere l’inno alla bellezza femminile italiana (“Mrs&Mr.Hide) o all’accettarsi così come si è perché è proprio “Il bello di essere brutti” perché siamo “Nati così”.


Chiude l’album “L’uomo col cappello”, il perfetto ritratto del J-Ax attuale, che raccoglie nell’identikit le tante generazioni che trovano voce in quella dello zio.


-Gian-



martedì 3 febbraio 2015

THE ENDLESS RIVER

‘Il fiume senza fine’. Quale titolo migliore avrebbe potuto avere l’ultimo album dei Pink Floyd? Una cover che sicuramente non è da meno rispetto a quelle precedenti, dove un nocchiero ci guida in queste acque senza fine rarefatte, acque che si confondono con le nuvole e che portano verso l’eternità. Infatti il tema principale dell’album è senza dubbio questo: l’eternità. Tutto il lavoro è un omaggio a Rick Wright, uno dei padri dei Pink Floyd, morto nel 2008; e viene pubblicato vent’anni dopo il loro ultimo lavoro, The division bell, di cui The endless river può sicuramente essere visto come un’appendice: infatti ‘The endless river’ è un verso di ‘High hopes’, traccia con cui si chiudeva l’album del 1994. Devo fare una premessa: non si può ascoltare questo disco pensando di trovarsi di fronte uno dei tanti capolavori a cui questo grande gruppo ci ha abitati, ma bisogna prenderlo per quello che è, un biglietto di saluti, un addio. Per questo sarebbe inutile dire che chi si aspettava di trovarvi qualcosa di incredibile come nei precedenti, rimarrà deluso. Eppure, nonostante questo, io mi sento comunque di definirlo un ottimo lavoro. Non troviamo sicuramente i Pink Floyd che amavano sperimentare e rischiare, ma troviamo dei Pink Floyd conservatori, che confermano il loro stile. Il disco è essenzialmente strumentale, solo un pezzo, Louder than words è cantato. Ma come nasce questo disco?
Durante le session di ‘The division bell’ nel ’94, il gruppo (composto da Wright, Mason e Gilmour) decise di pubblicare un doppio cd: in uno sarebbero state contenute le canzoni ‘cantate’ e nell’altro le versioni strumentali (come accadde per Ummagumma). Ma alla fine il progetto saltò e venne pubblicato il disco singolo. Per cui le oltre venti ore di registrazioni rimasero nell’archivio di Gilmour, fin quando quest’ultimo non decise di affidare ai coproduttori Andy Jackson,Youth e Phil Manzanera il compito di estrarne e montarne il meglio, realizzando le basi per questo ultimo lavoro, fino poi a riprenderne possesso e a riarrangiare e risuonare le tracce selezionate dai coproduttori, dividendole nelle quattro sezioni in cui risulta essere diviso il disco. Tra i partecipanti alle session, tre coriste e le ‘Escala’, un quartetto femminile famoso in Inghilterra per la loro partecipazione al programma ‘Britain’s got talent’. Ascoltando comunque l’intero album è impossibile non notare delle somiglianze con i lavori compresi tra ‘The dark side of the moon’ e ‘The wall’, quasi a voler rievocare nell'ascoltatore quei capolavori della musica mondiale.
Come dicevo, il disco risulta essere diviso in quattro sezioni:


La prima sezione è costituita da tre pezzi: Thinks left unsaid, It’s what we do, Ebb and Flow. Fin dalle prime note si entra in questa atmosfera musicale rarefatta, metafisica, che fa capire fin da subito che questo non è un disco da ascoltare come si ascolterebbe una classica canzone pop né tantomeno un altro disco dei Pink Floyd. E proprio questo lo distingue da un normale disco ambient; qui per capire il vero senso di ogni canzone, bisogna immergercisi con tutti noi stessi. In particolare la terza traccia ricorda vagamente ‘Welcome to the machine’.
La seconda sezione invece ha dei ritmi decisamente più rock e a tratti psichedelici. Si apre con ‘Sum’, in cui le chitarre introducono l’ascoltatore verso queste  ‘acque’ più rock (tanto per rimanere nel tema del river), per poi proseguire con ‘Skins’ che, costellata di percussioni, ha dei ritmi quasi tribali; continua poi con la breve ‘Unsung’, in cui un assolo di chitarra elettrica è accompagnato da un organo in secondo piano, per terminare poi con ‘Anisina’, il cui ritmo ricorda molto la ben nota ‘Us and Them’, di cui ritroviamo anche un assolo di sassofono.
La terza sezione è quella più massiccia: inizia con la riflessiva ‘The lost art of conversation’, in cui pianoforte e chitarra si alternano e si accompagnano vicendevolmente; poi troviamo ‘On noodle street’, i cui entriamo in ritmi quasi dub, e ‘Night light’; prosegue con ‘Allons-y1’, in cui è impossibile non ripensare alle atmosfere di The Wall, ‘Autumn 68’,in cui l’immancabile organo Hammond non passa di certo inosservato, e con ‘Allons-y2’ che prosegue i ritmi di Allons-y1. Termina con ‘Talkin Hawkin’, una delle più riflessive, in cui si affronta la tematica della comunicazione verbale, in cui nel sottofondo di cori a intermittenza è possibile ascoltare la voce artificiale di Stephen Hawking. Profonda, oltre che a mio parere la più pinkfloydiana del disco.
La quarta ed ultima sezione inizia con ‘Calling’, che ci introduce in una atmosfera ulteriormente metafisica, quasi spaziale. Personalmente ho pensato a ‘Interstellar’ mentre la ascoltavo. Prosegue con ‘Eyes to Pearls’, in cui entriamo ulteriormente in un’atmosfera spaziale, e ‘Surfacing’, che torna a ritmi più ‘terreni’ grazie ad assolo di chitarra e cori, quasi ad accompagnarci all’ultima traccia, la bellissima ‘Louder than words’. Questa è l’unica vera e propria ‘canzone cantata’ del disco, con il testo della signora Gilmour, che fa quasi un resoconto della storia del gruppo, oltre che rappresentare il momento dei saluti nonché l’augurio di ‘buon viaggio’ attraverso l’endless river della musica, quella dei pink floyd che rimarrà eterna grazie alle sue note, ognuna una piccola particella di quei capolavori che ci accompagneranno per sempre in quel fiume finito che è la vita.

VOTO: 9.5

                                                                                                                                 -Cos-