venerdì 30 gennaio 2015

CERIMONIALS

Partiamo dal presupposto che io adoro Florence Welch. La trovo una boccata d’aria fresca nel marasma musicale odierno, noioso, raccomandato e scontato!
Cerimonials è il suo secondo album, uscito a distanza di due anni da Lungs. In questo lavoro Florence ha dimostrato di aver sperimentato suoni nuovi pur rimanendo coerente con lo stile del primo progetto. Ascoltando Cerimonials infatti,  la nostra mente viene subito rimandata a canzoni come Rabbit Heart o Cosmic Love  ma l’album, a differenza del primo assume un’impronta più gothic  sia nella musica che nei testi. I cori, le arpe e gli organi, presenti prepotentemente in tutti i brani, rimandano al gospel e al soul.
Tema ridondante è quello dell’acqua. La cantante si è lasciata ispirare da Virginia Woolf che nelle sue opere usa l’acqua come modalità narrativa.



L’album si apre con Only if for a night. Florence narra un sogno in cui un fantasma le dà la forza per affrontare una situazione surreale. Il testo e la musica ricreano atmosfere celtiche.
Shake it out è stato il singolo di lancio dell’album, è sicuramente il più conosciuto. Il brano è un gospel con tanto di organi e campane. Florence canta di come sia necessario scrollarsi di dosso i rimpianti per vivere più leggeri.

 “ Looking for heaven, for the devil in me, well what the hell, I’m gonna let it happen to me”.

What the water gave me è ispirato all’ononimo quadro di Frida Kahlo. E’ un brano folck-rock in cui si fanno notare le arpe. La cantante ha ammesso che l’acqua è un elemento che la affascina nell’amore, nella moda e nell’arte e che ha scritto questa canzone pensando alle persone morte nel tentativo di salvare qualcuno che stava annegando.
Never let me go è per me il brano più bello dell’album. Sembra costruito per esaltare la splendida voce di Florence. Cantandolo trasmette calma e relax pur narrando un’esperienza drammatica, forse proprio perché, quando si è nell’acqua non si può far niente se non lasciarsi andare. Ascoltandolo mi viene in mente che possa parlare di un suicidio ma più probabilmente Florence ha voluto narrare la sensazione che si prova nell’affrontare un momento difficile. Le interpretazioni sono aperte in questa, come in tutte le sue canzoni. I testi infatti sono tanto affascinanti quanto difficili da comprendere in senso univoco.
Breaking down può essere considerato l’unico vero esperimento musicale dell’album in quanto si discosta notevolmente dallo stile del lavoro precedente.
Lover to lover è una canzone blues, arrabbiata e potente. La cantante vaga, da amante ad amante, in cerca di salvezza senza trovarla.
No light no light si apre con dei colpi di tamburo; è una canzone d’amore gospel e rock allo stesso momento.
In Seven Devil la musica e il testo gotico trasmettono angoscia, ascoltandolo mi sembra di assistere ad un incontro spiritico.
Heartlines si apre con dei suoni tribali, è la canzone dai toni più ottimistici che possiamo trovare nell’album. Io la interpreto come una sorta di guido di guerra, un inno alla vittoria.

 “Just keep following the heartlines on your hand! Keep it up! I know you can!”

Con Spectrum abbiamo un tocco di elettronica.
In All this and heaven too Florence  canta della difficoltà che ha nel capire il significato delle parole che dice ma dopotutto comprenderlo non è importante perché qualunque cosa ella possa dire non sarebbe in grado con le parole di esprimere i propri sentimenti. 

“ Words were never so useful ‘til was screaming out a language that never knew existed before.”

L’album si conclude con la corale Leave my body.


Cerimonials è un album che si lascia ascoltare, leggero ma nuovo, coraggioso pur rimanendo ancorato nell’isola rassicurante del pop. Non ci resta che sperare che nel prossimo album, che dovrebbe uscire nei prossimi mesi, Florence continui a stupirci e ad incantarci con la sua inconfondibile voce. 

-Nia-

mercoledì 28 gennaio 2015

VULNICURA

Ascoltare questo disco è stato come fare un viaggio. Nei ricordi, nei suoni, nei colori della voce di questa cantante. Nelle emozioni. Perché il bello della musica è anche questo, che è varia. Per cui non si può almeno una volta non ascoltare un album come questo, in mezzo al mare di canzoni pop che affondano generi più sofisticati e indefinibili come quello di Bjork. Perché il suo pregio è proprio questo, che in tanti anni di carriera è riuscita a sperimentare, variare in continuazione, pur mantenendo un’identità di fondo unica e riconoscibilissima. Questo disco è uscito in versione digitale in anticipo rispetto alla data prevista, di preciso due mesi prima poichè un leak (come ormai succede spesso negli ultimi anni) ne aveva messo in vendita su alcuni siti le canzoni. Da qui la scelta di anticiparne l’uscita, almeno in digitale.
Non è un disco semplice questo ma per 'orecchie fini'. Lei lo ha definito su Fb 'A complete hearthbreak album'. Ebbene, possiamo effettivamente dire che è così. Io personalmente l'ho ascoltato, anzi me lo sono gustato, in tre sessioni diverse, cercando canzone dopo canzone e testo sotto agli occhi, di coglierne il significato. Voglio però riportare le mie impressioni tutte insieme in questa recensione.





Nell’album si respirano tre diversi stati d’animo: nelle prime tre canzoni (Stonemilker,Lionsong e History of touches) si avverte una certa frustrazione in un mare di malinconia e nostalgia; le altre tre (Black lake, Family, Notget) sono ancora più riflessive, in particolar modo affrontano il discorso della rottura famigliare, mostrando una grande capacità di mettersi a nudo e aprirsi completamente verso l’ascoltatore, in una sorta di sfogo; le ultime tre (Atom dance, Mouth mantra, Quicksand)  affrontano più o meno le stesse tematiche, spostandole però da un piano personale ad uno più generale e sicuramente più positivistico (della serie ‘ciò che segna insegna’).
Probabilmente (è sempre bene informarsi sulla biografia di un artista per capirne appieno le opere) il disco affronta queste tematiche in seguito alle vicissitudini personali della cantante (la separazione dall’artista Matthew Barney) che influenzano notevolmente questo lavoro, ponendo in particolar modo l’accento sull’importanza della famiglia come unità e sui devastanti effetti che possano conseguire la sua dissoluzione. Nel disco questa sorta di stato sfogo-confidenziale è evidente, tanto che la cantante sembri quasi a tratti sussurrare, con voce rotta, le semplici (ma incisive) parole, accompagnate da questi suoni che rendono perfettamente l’atmosfera e il senso del loro contenuto. In Stonemilker ad esempio ripete nel ritornello ‘Show me emotional respect, And I have emotional needs, I wish to synchronize our feelings’, facendo avvertire un senso di nostalgia e profonda insofferenza, in cui l’ascoltatore fluttua circondato da un flusso di archi che rimangono a suonare fino all’ultima nota. Si passa poi dalla ‘probabilistica’ ‘Lionsong’ alla bellissima ‘History of touches’ in cui sveglia il suo amato per esprimergli tutto il suo amore e in cui sembra rivivere, con evidente nostalgia, ogni singolo momento condiviso insieme. Mai in tutto l’album come in questa canzone è evidente come si possa trattare un argomento così comune come l’amore in maniera del tutto originale e cruda. Il punto sicuramente più alto e allo stesso tempo profondo del disco è rappresentato da ‘Black lake’, che rappresenta anche la sintesi di tutto questo lavoro: è chiaro infatti il ruolo svolto dai vari arrangiamenti, costituiti dal suono ‘malinconico’ degli archi e da quello introspettivo e psicologico dell’elettronica. ‘I am one wound, my pulsating body, Suffering be. My heart is enormous lake, black with potion, I am blind, drowning in this ocean’ canta Bjork, celandovi il vero significato di questo disco: l’amore inteso come sofferenza, da cui è difficile uscire. Impossibile non rimanere affascinati dal crescendo di questo brano, e nel testo, e nelle musiche.
Passando da ‘Family’ (in cui come dicevo prima si riflette a cosa porti la rottura del nucleo famigliare, tanto che la canzone inizia con la domanda ‘Is there a place where i can pay  respect  for the death of my family?’ e proprio per questo i suoni dell’elettronica si fanno più forti, violenti, quasi a voler far esplodere la rabbia per questa rottura) e per Notget (in cui la visione dell’amore legato alla morte è evidenziato più volte nel testo, il tutto in un ritmo a tratti etnico), si arriva ad ‘Atom dance’ dove si avverte una nota positiva dovuta al fatto che anche il dolore in un sentimento come l’amore aiuta a migliorarsi e fa un invito all’ascoltatore: ‘When you feel the flow as primal love, enter the pain and dance with me’, un invito che oscilla tra un ammonimento (quasi come un volerlo mettere in guardia dalla sofferenza d’amore) e un consiglio (a non temere le sofferenze d’amore perché ci migliorano). Il tutto arricchito a metà canzone dal duetto con Antony Hegarty. Il disco termina poi con ‘Mouth Mantra’,in cui quasi ringrazia questa sofferenza che le ha riempito la testa di centinaia di suoni che le permettono di mettere in musica le sue cicatrici, e ‘Quicksand’, dove è ridondante “When I'm broken, I am whole And when I'm whole, I'm broken” e in cui termina questo bellissimo lavoro ribadendo che la sua continuità è sua figlia, che irrompe in questo flusso di suoni come un raggio di luce in una stanza buia.
Spero che questo mio personale resoconto di  Vulnicura sia condivisibile dalla maggior parte di chi lo ha ascoltato perché  vorrebbe dire che Bjork ha lasciato anche a voi quello che ha lasciato a me: un pezzo della sua vita mantenuto vivo dai suoni e dalle parole di queste canzoni, da custodire come esempio di sofferenza altrui che ci insegni a vedere il dopo, la positività che segue un momento non facile. Per cui grazie Bjork per averci donato con questo disco una parte intima di te che spero tutti possano ascoltare con rispetto e profondità.

Voto: 9+
                                                                                                                                             -Cos-


  1. Stonemilker
  2. Lionsong
  3. History of touches
  4. Black lake
  5. Family
  6. Notget
  7. Atom dance
  8. Mouth mantra
  9. Quicksand

martedì 27 gennaio 2015

HOZIER



I suoi concerti sono tutti Sold Out.
Il suo singolo:
-       Ha ottenuto una candidatura agli MTV Europe Music Awards 2014 nella categoria "Best Song With a Message" ed una candidatura alla 57ª edizione dei Grammy Awards nella categoria “Song Of The Year".
-       Il video ha più di 85.000.000 visualizzazioni.
-       Ha scalato le classifiche di tutto il mondo, ed è il più ascoltato su Spotify da sempre.
-       In Italia è stato certificato 3 volte disco di platino (piu di 90.000 copie vendute) ed è stabile alla prima posizione della classifica fimi da 12 settimane.

Di chi sto parlando? Di Hozier con la sua Take Me To Church.
Impossibile non averla mai ascoltata.
I numeri parlano chiaro, è lui il fenomeno del momento. Ma cosa sappiamo di lui e della sua musica?
Mi è capitato qualche giorno fa di ascoltare un’intervista in radio dove annunciava l’uscita del suo album in Italia, così mi sono incuriosita ed eccomi qui a riportarvi quanto scoperto del mondo di Hozier.
Ha 24 anni, il suo nome completo è Andrew Hozier-Byrne ed è un cantautore irlandese.
Il suo album uscito già a settembre 2014 ma arrivato in Italia solo da poco, 13 gennaio 2015, si intitola “Hozier” e contiene 13 tracce, di cui una live.

2  Angel of Small Death and the Codeine Scene
3  Jackie and Wilson
4  Someone New
5  To Be Alone
6  From Eden
7  In a Week (featuring Karen Cowley)
8  Sedated – 3:27
9  Work Song
10 Like Real People Do
11 It Will Come Back
12 Foreigner's God
13 Cherry Wine (Live)

Il disco scorre e non delude le mie aspettative. Quando un singolo ha così tanto successo, si potrebbe pensare che sia dovuto al caso, un singolo episodio senza nulla di concreto dietro. Invece no. Hozier ha talento e personalità, una bella voce e soprattutto una scrittura brillante. Nell’album spiccano anche le sue qualità di chitarrista.
Un album blues, con richiami al gospel, al soul, al pop ed anche al rock.
Sicuramente il blues è il suo mondo, come lui stesso ha affermato il padre sin da piccolo lo ha avvicinato a questo genere musicale.
Arrangiamenti non troppo sofisticati e temi attuali come: amore, fede, religione, relazioni, morte, peccato.
Si passa da pezzi più tormentati come From Eden, In a Week, ai più delicati Like Real People Do, Cherry Wine fino a pezzi più leggeri come Jackie and Wilson.
Un brano che mi è rimasto subito in mente è Someone New, pezzo pop che ha un ritornello che non puoi fare a meno di canticchiare.
Di Take Me To Church, traccia che apre l’album, se ne è parlato molto, ma lui ci tiene a precisare che "La mia canzone non parla di omosessualità. E io sono etero. Parla dell’amore per una donna, ma come una preghiera".
Sicuramente le altre 12 tracce non sono sullo stesso piano di Take Me To Church, ma nel complesso l’album forma una solida base su cui costruire una lunga carriera nel panorama musicale mondiale.  Voto: 7.
Penso che Hozier non sia solo un fenomeno momentaneo, ma un giovane talento di cui sentiremo ancora parlare in futuro.
                                                                        -Etta-







lunedì 26 gennaio 2015

MY FAVOURITE FADED FANTASY



Con questo uomo capisco come spesso un posto apparentemente “piccolo” come l’Irlanda possa sfornare dei veri e propri fenomeni cantautoriali.  Il suo nome è Damien Rice, ha ben 42 anni, ma scrive cose che talvolta mi sembra siano scritte da un ragazzo che affronta per la prima volta l’amore e ha uno sguardo del tutto nuovo e iconico, mentre a volte incarna il ruolo di uomo che ha la capacità di descrivere qualsiasi emozione a portata di penna.
Dopo ben 8 anni dal suo ultimo album “9” il 4 novembre 2014 è tornato con un nuovo lavoro “My Favourite Faded Fantasy”, aiutato dal suo produttore Rick Rubin. I pezzi di questo album sono 8, più una bonus track “Camarillas”.
Lo stile utilizzato da questo cantautore è sicuramente speciale, perché una cosa che risulta subito è la durata delle canzoni. Anche solo questi pezzi vanno da una durata di 4:27 min a 9:33 min.
Questo album l’ho scoperto solo 1 mesi fa, ma la fortuna vuole che lo abbia ascoltato come se l’avessi acquistato il giorno stesso dell’uscita. Il primo pensiero che ho avuto è che ogni singola traccia vale ben di più del prezzo complessivo del disco. Ogni canzone è un film, è un racconto, è come se chiudendo gli occhi si potesse vedere un filmato che incarni perfettamente il senso della canzone.
I due pezzi che più celebrano la bellezza di questo album sono sicuramente “It Takes a Lot To Know a Man” e “I Don’t want To Change You”. Il primo è come se unisse la bellezza del pianoforte a una chitarra acustica a tratti smorzata a tratti rinforzata. Racconta quasi parallelamente cosa significhi conoscere un uomo e conoscere una donna. Il ritornello unisce i due “paragoni” a quasi un racconto su quanto la vita necessiti tempo di essere capita, in tutti i suoi aspetti.

“it takes a lot to give,
to ask for help, to be yourself,
to know and love what you live with” (It Takes a lot to know a man)

Dal minuto 4 di questo pezzo inizia la riproduzione di  più cori che si sovrappongono che creano quasi una sala buia dove rimani inchiodato al pavimento ascoltando e riuscendo a definire ogni minimo suono che viene riprodotto. Lentamente sale poi il pianoforte, accompagnando questa volta da un violino che ben si allinea con l’atmosfera del pezzo e portandoti alla fine quasi affranto ma allo stesso tempo pieno di emozioni.
Il secondo pezzo che ho menzionato, “I don’t want to change you” è una bellissima dichiarazione d’amore, dove spesso Damien sembra quasi incarnarsi in un angelo, che alle spalle della sua amata gli promette di starle sempre vicino, di aspettarla, di proteggerla, raccontandole, nel ritornello, che non la cambierebbe per nulla al mondo. Sicuramente la scelta di sceglierlo come secondo singolo per anticipare l’uscita del suo disco è stata un’idea furba quanto geniale.
The Greatest Bastard è un pezzo molto delicato che a tratti sembra essere raccontato da un bambino. Arriviamo da punti in cui sembra Damien sussurri le frasi di questo pezzo, in altri frammenti (come il ritornello) dove il sussurrare diventa canto, quasi fiero, come se volesse che tutti a un raggio di 5 km lo ascoltassero. Ovviamente la chitarra rimane lo strumento principale, se non l’unico.
My Favourite Faded Fantasy è il primo singolo estratto dall’album ed è anche quello che da il nome all’album. Questo pezzo mi ricorda molto lo stile degli Skunk Anansie. Mi piace, ma in questo pezzo mi sembra di vedere un Damien più elettronico, che cantautoriale. Una sua sfaccettatura che comunque apprezzo molto.
Long Long Way, l’ottava traccia, è il pezzo con cui ho deciso di concludere il racconto di questo album, perché è proprio l’ultima parte di questa canzone che mi fa capire perché la scelta di concludere un album come questo con una traccia del genere. Chiudete gli occhi e ascoltate la strumentale degli ultimi 2 minuti. Compiendo io questo esperimento mi sembra di essere in viaggio verso la fine di qualcosa, come se questi strumenti stiano dando vita a una buonanotte, a una melodia per i saluti finali di uno spettacolo. Non so perché, ma lo trovo come il pezzo perfetto, per concludere un album perfetto come quello che Rice ha sfornato dopo ben 8 anni. Ragazzi, se l’attesa è stata di 8 anni …ben venga se escono progetti del genere!

                                                                                                                   -Reb-